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Gypsum-plaster

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Gypsum-Plaster è un progetto che si lega a una tappa fondamentale del percorso di ricerca del duo Caretto-Spagna, una tappa definibile da un periodo di residenza circoscritto nel 2008, frutto di una collaborazione tra il piccolo museo d’arte moderna contemporanea della città di Digne e il museo geologico situato nel parco più grande d’Europa, la réserve géologique de Haute-Provence.

Gypsum-Plaster è il punto di arrivo della coppia in termini di conoscenza della materia,  un risultato ottenuto a seguito della presa di coscienza di passaggi fondamentali quali la scelta di un blocco di gesso minerale che poi viene calcato, cotto e macinato. La polvere ottenuta (scagliola), miscelata con acqua, è stata colata nel calco. L’oggetto è risulta essere la copia della roccia di partenza, ma mostra differenze di colore, texture e cristallizzazione, mentre la colata a terra è il risultato dell’eccedenza di scagliola derivante dal processo di trasformazione, materializzazione dell’energia spesa dagli artisti nella lavorazione. L’opera si identifica come apripista delle Prove di trasformazione_forma 01 (2012), da cui la scultura dal titolo MNC02AM (2012). La Fase 2 del progetto prevede che al termine del periodo espositivo l’opera venga distrutta ed il processo ripetuto, perchè altri artisti possano realizzare una nuova scultura a partire dalla medesima quantità di scagliola originata dal minerale raccolto. I primi ad essere coinvolti sono stati Allis/Filliol, il prossimo artista invitato a realizzare la fase 3 è Fabrizio Prevedello.

Estratti dall’intervista tecnica ad Andrea Caretto e Raffaella Spagna:

“Siamo partiti entrambi da background accademici – Caretto nella scultura, Spagna nella pittura – ma abbiamo abbandonato quella componente di lavoro in studio per sperimentare altre forme di produzione più legate all’azione, dove il cuore dell’esperienza estetica rimaneva “l’esserci” nell’effettuare l’azione, che poi veniva documentata o restituita con installazioni. In questo caso si può dire che abbiamo riscoperto – anche se non è mai venuto meno il piacere di avere a che fare con la materia in prima persona – il grado zero della scultura, ci siamo trovati con una certa quantità di scagliola che poteva assumere qualsiasi forma e a quel punto ci siamo detti che potevamo arrivare fino in fondo al processo di trasformazione, per esplorare quella linea che divide il piacere istintivo di trasformare la materia dalla responsabilità di creare qualcosa di nuovo.”

“Abbiamo pensato che rispetto al nostro lavoro Allis/Filliol avrebbero potuto segnare una distanza nel modo di operare pur mantenendo un forte contatto con la materia, una vicinanza che immaginiamo diminuirà con il procedere di questo progetto, che arriverà a coinvolgere scultori molto diversi da noi. L’idea di usare questa materia esplorando le infinite possibilità che l’uomo le può offrire è il concetto alla base del lavoro, consapevoli del fatto che tornerà sempre alla sua forma “polverosa” e che le sue caratteristiche cambieranno nel tempo, diventerà sempre più impalpabile, i tempi di presa non saranno più gli stessi, diventerà più dura.”

“Si è trattato certamente di un lavoro molto lungo, perché abbiamo trasformato personalmente i blocchi di gesso, apprendendo qualcosa in più dalla macinazione con le pietre, osservando come si comporta la materia quando viene aggiunta l’acqua, come deve essere setacciata, come fa presa, i tempi necessari, arrivando a capire di volta in volta se la temperatura del forno era corretta, se avevamo girato bene il materiale oppure no… “

“In generale non siamo ossessionati dalla conservazione della forma, la sua cristallizzazione in una struttura definitiva. Spesso i nostri lavori sono delle prove, un campo di ricerca, a volte non abbiamo esperienza e non sappiamo come muterà e in quanto tempo. Spesso la mostra è un laboratorio tanto quanto l’atelier, perché gli spazi non sono attrezzati per ospitare delle sperimentazioni.”

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