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Open (The End)

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Open (The End) è un’opera che venne pensata per una mostra organizzata presso la galleria Eva Presenhuber di Zurigo nel 2010, intitolata “A Library of Leaves”. La mostra era incentrata sulla lettura, e di conseguenza Boyce, da sempre interessato alla storia del design e alla produzione di determinate serie di oggetti, ha realizzato un’opera basata sul famoso tavolo da biblioteca progettato da Jean Prouvé nel 1953 per la Maison de l’Etudiant di Parigi.

L’opera è composta da una griglia metallica in acciaio zincato e verniciato, sorretta da catene ad un supporto in acciaio nero verniciato, il tutto sormontato da una luce al neon e di dimensioni pari a 152.5 x 319 x 251 cm.

Il tavolo che Boyce ha prodotto è stato pensato sia come oggetto su cui compiere l’atto di lettura sia come un oggetto da leggere anziché su cui leggere, poichè il piano di appoggio ricorda una pagina di un libro, piegata come se dovesse essere sfogliata. Anche le lettere O – P – E – N che si possono leggere lungo i bordi arrugginiti della cancellata sembrano un invito ad entrare in una storia. Ed il titolo dell’opera riporta anche le ultime parole di un libro, The End.

Estratti dall’intervista a Martin Boyce:

“Sono interessato alla storia del design, questo include sia la progettazione e produzione di oggetti, così come la disposizione e la presenza delle cose in uno spazio. Sono interessato a come oggetti di design senza produttori di riferimento, come le panchine, siano elementi classici del design. Dal 1997 le mie sculture hanno fatto riferimento direttamente solo a una manciata di oggetti di design specifici: The Eames Storage Units, la serie 7 sedie di Jacobsen, i tavoli di Prouvé, schermi e panchine.”

“Io uso qualsiasi materiale sia rilevante per il pezzo che sto facendo. Però ho la tendenza ad attaccarmi, affezionarmi a una piccola gamma di materiali come il legno, l’acciaio e Jesmonite. Più di recente ho eseguito alcuni elementi in bronzo. […] I materiali utilizzati sono prima discussi con il laboratorio di fabbricazione per esaminarne le proprietà funzionali ed estetiche. Per i nuovi materiali che utilizzo, comè stato per la Jesmonite, è previsto un test in studio / laboratorio in modo da poter capire la loro idoneità per un lavoro. Tuttavia questo è un processo di apprendimento continuo, come per le condizioni in cui le opere viaggiano e sono ri-allestite nel tempo.”

“Mi capita spesso di accelerare artificialmente l’usura mie sculture. Io lo vedo come l’impianto di un passato in un oggetto che di fatto non ha un passato. Questo crea una instabilità temporale che è interessante per me. Un oggetto che sembra essere storico ed abbandonato anche se di fatto è appena stato realizzato.”

“Può essere frustrante dover riparare un lavoro che è stato fatto anni prima, perché sei così occupato con il nuovo lavoro da non averne tempo e testa. Recentemente ho dovuto riparare un pezzo di legno di una maschera che era stato rotto. Doveva essere riassemblato e completamente ridipinto, ma non ho potuto recuperare subito la vernice originale. Ci è voluto un sacco di tempo ed è stato frustrante, ma alla fine è stato come creare un nuovo rapporto con il lavoro, è stato in qualche modo prezioso.”

L’intervista è stata eseguita all’interno del progetto Interview with art, a cura di Benedetta Bodo di Albaretto in collaborazione con il Centro di Conservazione e Restauro della Venaria Reale e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo                     Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale

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